Capita sempre più spesso, quando si entra in un supermercato, di trovarsi di fronte confezioni che riportano la dicitura “a residuo zero”, questo termine può confondere facendoci pensare si tratti di prodotti da agricoltura biologica: in realtà sono due cose ben distinte.
"Zero" è un termine semplice e diretto, un claim molto inflazionato che richiama attenzione, come "zero zuccheri", "zero grassi" o “a km zero”; ha un forte effetto psicologico di assenza e purezza.
"Residuo zero" indica chiaramente e in modo univoco che il prodotto è privo di residui chimici, pesticidi o fertilizzanti, è un messaggio più "rassicurante" per il tutti noi, un principio che fa leva sulla necessità di sicurezza alimentare.
Cosa si intende per prodotti a residuo zero
Il prodotto si definisce a “Residuo Zero” quando i residui di prodotti fitosanitari di sintesi chimica sono inferiori o uguali a 0,01 mg/kg (10 ppb). Tale soglia è intesa come il limite di quantificazione analitica attualmente proposto dai laboratori di prova più qualificati.
Residuo Zero non significa non utilizzo di fitofarmaci ma che nel prodotto finito non ne rimane traccia. Per capire meglio la differenza con un prodotto biologico dobbiamo fare un passo indietro e tornare al momento della coltivazione; il “residuo zero” si può ottenere anche scegliendo con più cura i pesticidi da utilizzare, orientandosi tra quelli che si degradano più rapidamente grazie a particolari caratteristiche chimico-fisiche e/o rispettando i tempi di carenza, cioè il periodo tra l’ultimo trattamento e il raccolto o prelievo.
Cosa intendiamo noi per prodotti biologici
È il regolamento europeo sull’agricoltura biologica a dirci che “la produzione biologica è un sistema globale di gestione dell’azienda agricola e di produzione alimentare basato sull’interazione tra le migliori prassi in materia di ambiente e azione per il clima, un alto livello di biodiversità, la salvaguardia delle risorse naturali e l’applicazione di criteri rigorosi in materia di benessere degli animali e norme rigorose di produzione confacenti alle preferenze di un numero crescente di consumatori per prodotti ottenuti con sostanze e procedimenti naturali”.
L’uso di antiparassitari e di fertilizzanti di sintesi è vietato durante l’intero processo produttivo, perché è la semplice ed inevitabile conseguenza logica di un ben più articolato concetto generale.
La tecnica agronomica del “residuo zero” si concentra solo sull’assenza di residui di pesticidi nel prodotto al momento del consumo, senza badare più di tanto a quanto ha fatto prima, a cosa ha fatto finire nelle falde acquifere superficiali e profonde, nei suoli e nell’aria, all’impatto sulle api, sugli altri impollinatori e sulla fauna selvatica.
Una spesa consapevole
Fare la spesa può sembrare un’azione ordinaria e di poco conto ma in realtà è una scelta importantissima, che può fare la differenza.
Lo stesso vale per il tipo di agricoltura che un contadino sceglie di portare avanti.
I nostri agricoltori adottano pratiche agricole biologiche favorendo la riforestazione rurale, valorizzando la stagionalità dei prodotti e promuovendo la biodiversità, esprimendo così modelli economici e produttivi sostenibili e recuperando usanze storiche e culturali quasi dimenticate.
Una scelta concreta di profonda consapevolezza, un gesto che conta davvero, una presa di posizione in favore del territorio, di ciò che può naturalmente offrire e delle persone che lo lavorano, con rispetto, tutti i giorni.
In sostanza, se l’unico aspetto che interessa al consumatore è l’assenza di residui di pesticidi sul prodotto che acquista, il prodotto a “residuo zero” va benone.
Ma se il suo atteggiamento, oltre a essere “egologico” è, almeno un po’, “ecologico”, e pone quindi attenzione alla tutela dell’ambiente dalle contaminazioni, alla salvaguardia e all’aumento della fertilità naturale dei suoli, alla rinaturalizzazione degli habitat, all’incremento della biodiversità e all’attenzione al benessere animale, non c’è partita.