Dove nasce l'Agricoltura Biologica se non dalla conversione di terreni coltivati con metodo tradizionale? Il sostegno ai prodotti in conversione è sicuramente una scelta politica fatta comunque nella consapevolezza che le caratteristiche organolettiche del prodotto finale non differiscono, per quantità di residui chimici, dal prodotto certificato. Di seguito l'intervento di Franco Zecchinato, presidente della Cooperativa El Tamiso, sul tema.
Da alcuni clienti ci arriva ancora il rifiuto acquistare prodotti ortofrutticoli locali da agricoltura biologica “in conversione”.
Noi pensiamo che questo derivi da un’informazione incompleta, e forse influenzata proprio dal termine “conversione”, che può far pensare ad un percorso di “redenzione”, ma così non è.
In proposito vorremmo esprimere alcune considerazioni, che riteniamo importanti proprio per lo sviluppo dell’agricoltura biologica, che tutti abbiamo a cuore:
- contrariamente alle prime Norme di Agricoltura Biologica degli anni ’80 – il famoso “Cos’è Biologico?” – in cui nel delicato periodo della conversione venivano concesse operazioni e tecniche poi successivamente vietate, per favorire il processo di cambiamento, oggi le Norme di Legge obbligano ad utilizzare esclusivamente le tecniche ed i mezzi ammessi nel biologico, sia esso in conversione o meno
- di più, per i primi 12 mesi dall’avvio della produzione in biologico, e del relativo assoggettamento a tutti gli obblighi e controlli previsti, è vietata qualsiasi denominazione riferita al biologico nella vendita del prodotto
- nella maggior parte dei casi, nei 12 mesi (per orticole ed erbacee) o 24 mesi (per frutticole) successivi al primo anno, si possono vendere i prodotti dichiarandoli “in conversione all’agricoltura biologica”. Dopo questo ulteriore periodo (quindi da 2 anni a 3 anni dopo l'inizio dell'uso del metodo biologico, senza se e senza ma) si potrà togliere il riferimento alla conversione, se il prodotto è stato piantato, seminato o raccolto in quel periodo
- quindi tutti gli oneri e i rischi della conversione nella coltivazione, così come i gravosi costi di controllo, certificazione, assistenza e ricerca sono a carico del coltivatore. Si pensi in proposito a colture come le mele, le pesche, ecc. ecc. la cui vendita nel mercato convenzionale, scelta obbligata per i primi 12 mesi, è quasi impossibile a causa della più bassa qualità esteriore e di “aspetto”
- a questo si aggiunga che anche nei mesi della “conversione” vendibile, nessuno ne compra cereali, frutta od ortaggi destinati alla trasformazione, per il semplice motivo che, dovendo mescolare, ad esempio, del grano tenero bio ed in conversione, si sarebbe obbligati a definire tutta la farina ottenuta come da conversione; quindi restano potenzialmente valorizzabili solo una quota di ortofrutticoli freschi
- nonostante tutto, noi in Cooperativa, stiamo impegnati ad “allevare” e sostenendo nuove aziende, in particolare diverse condotte da giovani imprenditori ….magari piccole, ma esperienze preziose per il futuro, che ci sono e stanno crescendo (sennò non ci sarebbe proprio nessuna conversione!) e chi conosce un po’ le prospettive della nostra agricoltura, in termini di età, professionalità e passione, sa che oltre il 90% delle attuali aziende agricole italiane non ha un successore!
- da tempo la Cooperativa El Tamiso sta seguendo un suo preciso ed efficace piano di analisi chimiche nei confronti di tutti i fornitori, siano essi soci o meno; un’attenzione particolare è dedicata al monitoraggio delle produzioni in conversione, al fine di garantire che non risultino residui chimici rilevabili dagli strumenti, quindi a livelli molto inferiori ai limiti tollerati dalla Legge per alimentari convenzionali, che sono più alti
- in un caso, nel 2010, si sono riscontrati problemi, per la “memoria” di certi terreni argillosi ed organici che tendono a trattenere molecole chimiche utilizzate nel passato, e subito si è eliminata la produzione e la coltivazione di quel terreno
- senza contare poi che in generale un pericolo, sempre in agguato, è il potenziale inquinamento dalle coltivazioni convenzionali (la deriva), l’inquinamento “di fondo” di acque ed aria, sul quale abbiamo tutti assai poche informazioni obbiettive, ecc. ecc…. tutte questioni sulle quali, poi, non possiamo lasciare da solo il nostro neo-imprenditore agricolo!
Con queste considerazioni contiamo di aver motivato il perché accettare e valorizzare le produzioni regolarmente certificate “in conversione all’agricoltura biologica”: è un segnale di responsabilità e rispetto per l’impegno altrui, un’alleanza concreta tra chi produce, chi rivende e chi compra; un contributo vero allo sviluppo ed alla crescita dell’agricoltura biologica e biodinamica.
E’, come sempre, letteralmente una scelta di campo:
- o siamo per l’agricoltura che coltiva “contributi pubblici” (PAC, agro-ambiente, biogas, biodiesel, fotovoltaico a terra, ecc. ecc.), speculando su ambiente e paesaggio, per supplire all’inadeguatezza dei prezzi agricoli
- o siamo per riconoscere al coltivatore dignità e valore al suo lavoro, quello nel biologico in particolare.
Infine vi invitiamo a riflettere sul fatto che, pur in presenza di una netta crescita della domanda di produzioni bio, e quindi della produzione, vi sia pochissimo prodotto in conversione in giro ……. non è che con il nostro rifiuto rischiamo di contribuire a delle conversioni più “veloci”?